Sono solo 37 mila gli interventi di recupero edilizio effettuati finora con il Superbonus 110%, secondo i dati presentati dall’Agenzia delle Entrate.
I risultati non sono quelli sperati per rilanciare il settore edilizio in crisi, ma le ragioni di questo “falso inizio” sono in parte annunciate: in primis è stato ritardato dalla lentezza dei vari iter normativi che hanno dato piena operatività della misura solo nell’ottobre scorso, quando sono stati finalmente pubblicati anche gli ultimi decreti attuativi e le circolari con i requisiti tecnici.

Poi, i vari passaggi burocratici necessari per attestare il corretto sviluppo degli interventi dal punto di vista tecnico (asseverazione del progettista) e finanziario (certificazione del CAF o del commercialista) fanno sì che il percorso possa essere percepito come rischioso, che gli inghippi in cui il processo potrebbe incepparsi involontariamente siano tali da costituire una barriera ad un ampio utilizzo.

D’altra parte la principale limitazione è quella temporale: l’assimilazione delle informazioni, la costruzione delle conoscenze, la costruzione di sistemi affidabili, richiedono tempo. Concentrare le opportunità in una finestra temporale ristretta fa sì che a fronte di una significativa domanda non vi sia una corrispondente capacità di risposta in termini di risorse umane e di imprese, soprattutto dal punto di vista qualitativo. Ragion per cui, aumenta il rischio che molti interventi siano fatti in modo non adeguato per la fretta di agire e l’ansia di non perdere l’opportunità del contributo pubblico. Ecco perché il meccanismo dovrebbe essere strutturale ed articolato su un arco temporale adeguato di almeno 5 anni.

Inoltre, è fuorviante lo slogan “tutto gratis”, che, assieme all’avvicinarsi della scadenza della misura al 30 giugno 2022, è responsabile anche di aver scatenato una sorta di “corsa all’oro” che ha gonfiato il mercato, con i prezzi degli interventi lievitati sulla spinta dell’incentivo.

E così, come calcolato dall’Agenzia delle Entrate, il Superbonus 110% registra a fine febbraio meno di mezzo miliardo di investimenti. Usiamo intenzionalmente questa parola proprio per sottolineare come un intervento di recupero edilizio dovrebbe rappresentare per il committente una scelta ponderata e orientata a un beneficio tangibile in termini di comfort abitativo, di risparmio energetico e, in ultima analisi, di sostenibilità.
In termini economici, se il risultato non è all’altezza (cioè, in questo caso, se non migliora effettivamente l’efficienza energetica dell’edificio) l’investimento è sbagliato. Nessuno spenderebbe una cifra consistente senza la prospettiva di vedere risultati concreti. Ma, in un meccanismo che promette di non spendere nulla, sono pochi quelli che si concentrano sin dall’inizio sull’effettiva efficacia di quello che viene realizzato e quindi sulla qualità delle opere.

Con questa consapevolezza, sarebbe opportuno che l’incentivo diventasse strutturale, in modo da riequilibrare il mercato e avvantaggiare gli operatori, le tecnologie e i materiali che garantiscono la qualità energetica, migliorando davvero il nostro patrimonio edilizio.