18 Giugno 2024
In queste settimane, sulle testate regionali è stata data grande attenzione al tema del nucleare, a seguito di alcune dichiarazioni della politica che hanno generato un dibattito non sempre facile da seguire. Per portare un po’ di chiarezza, abbiamo scritto un articolo che è stato pubblicato dalla Vita Cattolica e che riportiamo qui di seguito.
Innanzitutto è necessario fare una prima e fondamentale distinzione tra fusione e fissione nucleare, per poi comprenderne opportunità e criticità.
Cos’è la fusione
La fusione è una reazione termonucleare che unisce due atomi leggeri, generandone uno più pesante e quindi ricavandone energia, simile alla reazione che avviene nel nostro Sole. Questa tecnologia è attualmente in stadio di prototipo e non sarà disponibile a livello commerciale fino ad almeno la metà del secolo: si tratta infatti di ricreare condizioni analoghe a quelle all’interno della nostra stella (confinare alcuni isotopi dell’idrogeno all’interno di un campo magnetico ad altissima intensità, mantenuti a temperature di decine di milioni di gradi) e siamo ancora lontani dal riuscirci in modo efficiente. Va da sé che questa non può essere una tecnologia da considerare utile per gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050, sebbene possa portare un contributo nel futuro e sia importante investire sulla ricerca.
Cos’è la fissione
La fissione funziona in modo esattamente opposto: un atomo pesante, colpito da una particella, si divide in due atomi più piccoli generando energia. Si tratta della tecnologia usata nelle centrali nucleari esistenti: ad esempio quelle attualmente attive in Francia, Spagna, Belgio e Slovenia. A livello europeo sono 12 i Paesi che adottano attualmente questa tecnologia, anche se la maggior parte di queste centrali sono state realizzate tra gli anni ’70 e ’80 in seguito alla crisi petrolifera.
I reattori in uso oggi
Le tecnologie oggi mature su scala commerciale si dicono di terza generazione: i reattori standard usano l’acqua sia come fluido termovettore (che trasporta il calore) che come moderatore (rallenta i neutroni). Questi reattori, principalmente di tecnologia francese -EPR- e americana -AP 1000- usano Uranio arricchito al 5% come combustibile e hanno taglie sull’ordine del GW elettrico. Di terza generazione ci sono anche altre centrali con diverse tecnologie quali le canadesi (CANDU), le inglesi (a gas-grafite) e altre. I reattori a fissione di “quarta generazione” detti anche veloci o autofertilizzanti, sono ad oggi ad uno stadio di sviluppo.
Nucleare, tempi e costi
I principali problemi di questa tecnologia sono i lunghi tempi e gli alti costi di realizzazione assieme alla produzione e gestione delle scorie radioattive. Riguardo ai tempi, in ambito europeo un esempio su tutti è quello della centrale nucleare francese di Flamanville, iniziata nel 2007 con la previsione di concludere i lavori nel 2012: al 2020, tuttavia, il progetto superava di oltre cinque volte il budget ed era in ritardo di anni.
Il problema delle scorie
Le scorie, invece, rimangono radioattive per periodi che possono variare da una decina ai milioni di anni. Il 90% è a bassa attività, dello stesso tipo di quelle che si producono in ospedale. Un reattore da 1 GW produce circa 25-30 tonnellate di scorie altamente pericolose. Riguardo alla pericolosità di questi impianti che potrebbe essere percepita dalla popolazione, ricordando episodi accaduti in passato, bisogna precisare che c’è stato un salto di qualità in termini di sicurezza tra i reattori di II generazione adottati in passato e gli attuali in utilizzo (III generazione). Tuttavia, seppur in scala davvero ridotta, la possibilità di incidente non è nulla.
Le nuove tecnologie
Recentemente ci sono stati anche altri sviluppi nella tecnologia nucleare: sono stati ideati gli SMR (Small Modular Reactor) reattori di piccola taglia dell’ordine delle centinaia di MW. Questi reattori modulari, oggi allo stato prototipale, sembra potrebbero essere potenzialmente disponibili al 2030 se aiutati da finanziamenti necessari per portarli sul mercato. Gli SMR dovrebbero risolvere alcune delle criticità legate ai reattori di grande taglia, specie in merito ai costi e ai tempi di realizzazione in quanto la modularità dovrebbe giocare a loro favore. Di fatto anche in questo caso si stanno riscontrando numerose difficoltà legate sia ai costi sia sul lato tecnologico: sarà interessante valutarne i progressi nei prossimi anni.
Per quel che riguarda la nostra regione, a seguito del meeting organizzato da Danieli il 28-30 maggio, i reattori di cui si è parlato e che sarebbero allo studio del Gruppo, sono di piccolissima taglia, ancora minore di quella media degli SMR, e deriverebbero dal mondo militare: si tratta di reattori ad alta temperatura che adottano l’anidride carbonica come moderatore e acqua (o aria) come fluido termovettore, della taglia di 9 MW e una vita utile di 8 anni. Questa tecnologia era già stata presentata dall’azienda americana Holos in collaborazione con Confindustria Alto Adriatico al convegno che si è tenuto ad Area Science Park di Trieste il 19 marzo.
Questi piccoli reattori non abbisognerebbero di manutenzione, ma essendo rinchiusi in contenitori perfettamente ermetici e saldati, una volta esaurito il ciclo vitale dovrebbero essere smaltiti così come sono. Anche ammesso fosse possibile qualche forma di riciclo del reattore, il combustibile ha lo svantaggio di essere arricchito al 19,99% e di non poter essere riprocessato: almeno in questo caso non si parla certamente di economia circolare.
Cosa significa uranio “arricchito”?
L’uranio naturale non è fissile ma contiene una quantità di Uranio 235, fissile – necessario per sviluppare la reazione a catena, pari allo 0,7%; nei reattori convenzionali il combustibile è composto da uranio 238 arricchito con uranio 235 al 5%. Questo processo è delicato perché comporta maggiori costi, energia aggiuntiva e la possibilità di proliferazione (cioè lo sviluppo di armi), tanto maggiore quanto maggiore è l’arricchimento richiesto.
Anche la fusione non è esente da rischi
Attualmente il modo più promettente di produrre energia da fusione è attraverso un dispositivo chiamato Tokamak: una sorta di “ciambellone” dove alcuni isotopi dell’idrogeno in forma ionica (deuterio e trizio) sono confinati all’interno di un campo magnetico ad altissima intensità e mantenuti a temperature di decine di milioni di gradi, superiori a quelle nel Sole. Queste sono infatti le condizioni necessarie perché avvengano le reazioni che inducono la produzione di energia termica. Il campo magnetico, per rimanere attivo, sfrutta grandi quantità di corrente che deve essere trasportata da superconduttori, i quali vanno costantemente mantenuti a temperature molto vicine allo zero assoluto, come nell’universo profondo: tutto questo in pochi metri. L’energia termica viene poi usata per produrre vapore e quindi energia elettrica.
Sebbene qui non si generino transuranici, cioè scorie che rimangono radioattive per milioni di anni, anche questa tecnologia non è totalmente esente da rischi: il trizio è un materiale radioattivo estremamente pericoloso in quanto basta una piccola fuga per contaminare milioni di metri cubi di acqua. Oltre al trizio, anche nella fusione si generano materiali radioattivi, ma sicuramente molti meno rispetti alle centrali a fissione.
Ci sono diversi progetti nel mondo che stanno testando questi dispositivi sperimentali: il progetto di reattore a fusione su cui stanno investendo molti stati, guidati dall’EU, è ITER in realizzazione a Cadarache, in Francia.
Transizione energetica, che peso può assumere il nucleare?
Secondo i report IEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia nata in seguito alla crisi petrolifera del ’72 e di riferimento per le analisi energetiche a livello internazionale, il nucleare al 2050 produrrà circa il 10% dell’energia elettrica nel mondo: a prescindere da qualsiasi ideologia, quindi, rispettare gli accordi di Parigi significa investire principalmente sulle fonti rinnovabili, che di certo avranno un peso enormemente maggiore e rappresenteranno davvero la chiave per la neutralità carbonica.