3 Aprile 2023
Il Parlamento europeo ha approvato la revisione della Direttiva europea sulle prestazioni energetiche nell’edilizia (Epbd) proponendo così che dal 2028 tutti i nuovi edifici siano a emissioni zero, dal 2026 quelli pubblici. L’aspetto più controverso per l’opinione pubblica riguarda però gli edifici esistenti, dal momento che per quelli residenziali si punta alle zero emissioni entro il 2050, con traguardi intermedi che prevedono che tutti gli immobili ricadano almeno in classe energetica E entro il 2030 e in D entro il 2033.
Prima di tutto, un po’ di chiarezza sulle caratteristiche che portano a “emissioni zero”: si tratta di un ottimo isolamento termico di pareti e solai, con serramenti performanti e un’impiantistica ridimensionata ai bassi fabbisogni energetici, tali da essere coperti con fonti rinnovabili.
L’Italia, insieme a pochi altri, è tra i membri che si oppongono alla norma, definendola una “europatrimoniale” che colpirà gli italiani nel loro bene più prezioso: la casa. La presa di posizione nasconde però un atteggiamento cieco nei confronti di quello che dovrebbe essere letto come un percorso necessario e come un’opportunità da più punti di vista. Il primo dovrebbe bastare da solo a giustificare la revisione della Direttiva: se vogliamo contrastare i cambiamenti climatici e ridurre le emissioni di gas serra del 55% rispetto al 1990 entro il 2030, non abbiamo scelta. Le fonti energetiche rinnovabili, infatti, non basteranno a coprire il fabbisogno di energia delle nostre case così come sono, a meno che non lo abbassiamo drasticamente. L’esempio del secchio bucato illustra bene la situazione: impossibile riempirlo, per quanta acqua si utilizzi; allo stesso modo, una casa con molte dispersioni termiche richiede continuamente energia per essere riscaldata.
Secondo le stime di Enea, oggi il 60% degli edifici, in Italia, si trova nelle classi più energivore (F e G) e ha un fabbisogno termico tra i 180 e i 250 kWh per metro quadro per anno, che si traduce in consumi di 1800-2500 metri cubi di gas o litri di gasolio per una casa di 100 metri quadrati. Il beneficio immediato che vedremo con case di migliore classe energetica sarà quello di risparmiare energia e quindi alleggerire le bollette.
Un altro vantaggio è quello di assicurare che nei Paesi dell’Ue le persone vivano e lavorino in edifici che, oltre a consumare di meno, siano più salubri, sicuri e intelligenti. L’Epbd andrebbe quindi vista come un’opportunità anche in termini di consapevolezza dei cittadini sui consumi domestici e sulla qualità edilizia della propria abitazione. Il comfort abitativo non è misurabile, ma chi lo sperimenta ne apprezza immediatamente il valore.
Una rassicurazione va a chi si preoccupa per la vetustà del patrimonio immobiliare italiano: ci saranno delle eccezioni per gli edifici storici o in aree sottoposte a vincoli e sarà lasciata ampia flessibilità ai governi nazionali sulle modalità di raggiungimento degli obiettivi. Senza contare che l’Ue ha chiesto agli Stati membri di continuare a prevedere incentivi per le riqualificazioni energetiche, anche con lo stanziamento di nuovi fondi europei per la transizione ecologica.
Siamo pronti per il passo che ci chiede l’Europa, se i negoziati in Consiglio concluderanno positivamente l’iter legislativo dell’Epbd? La risposta è certamente sì: da molti anni sono disponibili tecniche e tecnologie costruttive che permettono di raggiungere un’elevata efficienza energetica. Un esempio concreto viene dal Comune di Udine, che sin dal 2009 ha reso obbligatoria la certificazione CasaClima nel proprio regolamento energetico, a tutela dei cittadini. Da allora, sono stati certificati 260 edifici il cui fabbisogno è davvero ridotto (al massimo 50 kWh per mq per anno, e meno di 30 nella metà dei casi) e che sono già allineati con gli obiettivi europei.
Matteo Mazzolini, direttore dell’Agenzia per l’energia del Friuli-Venezia Giulia