“L’emergenza climatica non esiste”: parole pesanti, che lo diventano ancora di più se escono dalla bocca di uno scienziato durante un talk show in prima serata su una rete televisiva nazionale, come è accaduto di recente. Non è la prima volta che le sentiamo, anche se ultimamente è stato discusso più volte come questi meccanismi televisivi distorcano la percezione del problema e compromettano tragicamente la sua risoluzione.

Prima di tutto, vale la pena dirlo: l’emergenza climatica esiste eccome e su questo la comunità scientifica è concorde praticamente all’unanimità. Tuttavia una esigua minoranza rifiuta la tesi, argomentando che “i cambiamenti climatici ci sono sempre stati” e sottovalutando il fatto che il clima non è mai cambiato così tanto in così poco tempo: è rilevante notare che all’interno di questa minoranza non ci sono climatologi, cioè gli scienziati che si occupano di studiare nello specifico l’argomento.

Questo atteggiamento si chiama “negazionismo climatico” ed è molto pericoloso per chi non lo riconosce, vale a dire il grande pubblico che non ha gli strumenti per comprendere la discussione scientifica. Quest’ultima non avviene in tivù, ma tra pari, cioè in questo caso tra scienziati, nella letteratura scientifica. Il 99% degli esperti oggi concorda sul cambiamento climatico in atto sulla Terra. Allora perché sui mass media si dà voce, con lo stesso peso, a chi non ha credito nella comunità scientifica? Perché si mette a confronto un negazionista e uno no, come se la comunità scientifica fosse divisa al 50% mentre invece il numero di negazionisti non arriva nemmeno all’1%?

Non si vuole evitare il dibattito: è corretto che ci sia un confronto, ma in questo caso le opinioni devono lasciare spazio ai fatti, alle osservazioni empiriche. A tal proposito, il moderatore deve filtrare gli elementi che vengono posti a sostegno delle tesi: ad esempio, non si può presentare un grafico senza contestualizzarlo, altrimenti capita che i dati di una singola ricerca incentrata su una sola stazione e magari vecchia di trent’anni vengano fatti passare come rilevanti. C’è invece un’enorme mole di studi che testimonia inequivocabilmente il cambiamento climatico – purtroppo per noi. È comunque fondamentale che questi dati siano portati all’attenzione del grande pubblico: è l’unico modo perché tutti siano sensibilizzati e consapevoli della situazione.

Un’ulteriore e fondamentale conferma dei cambiamenti climatici in atto viene dall’IPCC (gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), la massima autorità in merito che ha steso sei rapporti di valutazione dei cambiamenti climatici negli ultimi trent’anni. Attraverso questi documenti, l’IPCC ha periodicamente fornito la più aggiornata rassegna sulla conoscenza scientifica sui cambiamenti climatici, le cause, gli impatti e le possibili soluzioni. L’IPCC concorda anche inequivocabilmente sull’origine antropica del riscaldamento globale in atto, ossia sul fatto che è strettamente correlato alle attività umane. Essere responsabili dei cambiamenti, però, ci mette anche nella posizione speculare di poter agire e portare la nostra responsabilità a un altro livello: quello di fermarci finché siamo in tempo, attraverso azioni che mirano a limitare le cause dell’eccessivo riscaldamento del pianeta, riducendo le emissioni di gas serra o favorendo la loro cattura.

La prossima volta che accendiamo la televisione e ci troviamo davanti a un talk show, o quando navighiamo su internet tra blog auto-pubblicati, cerchiamo di essere più attenti e critici nei confronti delle informazioni legate ai cambiamenti climatici: non abbiamo più tempo di curarci delle opinioni personali, la migliore scienza possibile da trent’anni conferma l’emergenza climatica.

 

Questo articolo è un nostro commento pubblicato sulla Vita Cattolica del 17 maggio 2023 nella pagina Punti&spunti